Analisi della deformazione - Prima parte

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Template:Risorsa Template:Todo Una volta definita dal punto di vista generale, il passo successivo è procedere ad una analisi della deformazione. A questo scopo è necessario definire il vettore spostamento 𝐯=𝐐𝐏, rappresentante la variazione della posizione del punto nel passaggio dalla configurazione indeformata a quella attuale.

In base a questa definizione del vettore spostamento, è possibile dedurne le componenti:

𝐯=𝐐𝐏=(𝐐𝐎)(𝐏𝐎)

vi=qipi=f(pj)pi

Questo vettore eredita le caratteristiche di continuità e di regolarità supposte per la funzione f, per cui se queste condizioni sono verificate per f lo sono automaticamente anche per v, mentre generalmente non è detto che ad una regolarità e continuità di v corrisponda necessariamente la continuità e regolarità di f.

Così come si è in precedenza definito il tensore gradiente della deformazione F, ora è possibile definire un ulteriore tensore H=gradv detto gradiente dello spostamento, definito in modo analogo al precedente, e cioè in modo che le sue componenti siano le seguenti:

[δv1δp1δv1δp2δv1δp3δv2δp1δv2δp2δv2δp3δv3δp1δv3δp2δv3δp3]

Per conoscere la relazione che lega i gradienti di deformazione e spostamento si considera la definizione del vettore spostamento già fornita in precedenza:

vi=qipi=f(pj)pi

Calcolando il gradiente di entrambi i membri si avrà:

gradv=gradfIH=FI

dove I è il tensore identità[1].

Deformazione di un vettore

Template:Todo Si considera ora la relazione Q=f(P) e ne consideriamo la differenziazione dQ=FdP, la quale può essere interpretata geometricamente come la trasformazione del vettore 𝐝𝐏 dell'intorno di P nel vettore 𝐝𝐐 dell'intorno di Q secondo una legge definita dal tensore F.

Le componenti del suddetto vettore possono essere espresse in relazione sia alle fi che alle vi, ricordando la relazione prima definita tra i loro gradienti:

{dq1=δf1δp1dp1+δf1δp2dp2+δf1δp3dp3dq2=δf2δp1dp1+δf2δp2dp2+δf2δp3dp3dq3=δf3δp1dp1+δf3δp2dp2+δf3δp3dp3={dq1=(1+δv1δp1)dp1+δv1δp2dp2+δv1δp3dp3dq2=δv2δp1dp1+(1+δv2δp2)dp2+δv2δp3dp3dq3=δv3δp1dp1+δv3δp2dp2+(1+δv3δp3)dp3

Questi legami sono tutti lineari, di conseguenza un elemento rettilineo nell'intorno di P resta tale anche nell'intorno di Q, e in generale un elemento di grado n mantiene lo stesso grado in seguito alla deformazione. Inoltre non esistono termini noti in queste relazioni, per cui due rette che si presentano parallele nell'intorno di P mantengono il parallelismo anche nell'intorno di Q, mentre l'ortogonalità non è di norma mantenuta.

Considerando i moduli |dP| e |dQ| dei suddetti vettori:

dP=|dP|𝐧dQ=|dQ|𝐦

essendo 𝐦,𝐧 i versori relativi ai vettori. Per rimanere nel caso più generale possibile, infatti, si è considerato che il vettore non mantenga la stessa direzione in seguito alla deformazione, per cui si sono considerate due direzioni distinte per la configurazione prima e dopo della deformazione[2].

Template:Todo Si definisce coefficiente di dilatazione lineare nella direzione n il rapporto tra la variazione di lunghezza che la fibra infinitesima subisce per effetto della deformazione e la sua lunghezza originaria:

ϵn=|dQ||dP||dP|=|dQ||dP|1

In base alla definizione data è possibile fare alcune osservazioni. Per prima cosa il coefficiente è positivo in corrispondenza di un allungamento delle fibre e negativo nel caso contrario. Esso, inoltre, ha senso solo in riferimento ad una data direzione n, motivo per cui il suo simbolo ϵ deve essere sempre accompagnato ad un pedice che ne specifichi la direzione cui è associato. Il coefficiente, inoltre, è chiaramente adimensionale.

Si considerano ora due vettori 𝐝𝐏(𝟏)𝐝𝐏(𝟐) nell'intorno di P, orientati secondo due direzioni descritte dai versori nν in modo da formare un generico angolo θ, che in seguito alla deformazione si trasformino rispettivamente in due vettori 𝐝𝐐(𝟏)𝐝𝐐(𝟐) nell'intorno di Q, orientati secondo due altre direzioni generiche di versori mμ in modo da formare un generico angolo θ.

Si definisce coefficiente di scorrimento mutuo la differenza tra gli angoli formati dalle direzioni dei vettori prima e dopo la deformazione:

γn,ν=θθ

Come è facile intuire, il coefficiente ha valori positivi quando l'angolo diminuisce di ampiezza a seguito della deformazione. Al contrario del precedente coefficiente, quest'ultimo ha necessità di due pedici per essere correttamente definito, dal momento che è necessario indicare le due direzioni di cui si indica lo scorrimento mutuo in seguito alla deformazione.

Si definisce, infine, coefficiente di dilatazione volumetrica il rapporto tra il volume dell'intorno del punto considerato in seguito e prima della deformazione:

Θ=dVV0V0=dVV01

Tale coefficiente è privo di pedici dal momento che esso è unico per il punto considerato. Naturalmente è positivo se si ha un aumento di volume.

La teoria della deformazione infinitesima

Quanto detto fino a questo punto, naturalmente, ha una validità assolutamente generale in relazione all'entità delle deformazioni in gioco per giungere ai risultati finora presentati. In generale, tuttavia, nell'ambito della scienza delle costruzioni si fa riferimento alla cosiddetta teoria delle deformazioni infinitesime, la quale consiste nel considerare che l'entità degli spostamenti prodotti dalla deformazione sia "piccola" rispetto alla dimensione complessiva del corpo che subisce la deformazione. In generale tale semplificazione è largamente accettata, dal momento che al momento dell'applicazione pratica delle conoscenze proprie della scienza delle costruzioni a casi reali si riscontra un'effettiva piccolezza degli spostamenti rispetto alle dimensioni totali del corpo.

La limitazione della piccolezza degli spostamenti, a fronte di una minore generalità della trattazione, oppone non solo l'inalterata validità della trattazione in relazione al fenomeno che si propone di descrivere, ma è accompagnata da una notevole semplificazione della trattazione matematica. Ad ulteriore vantaggio di questa teoria c'è il fatto che rappresenta l'ambito più ricco di risultati teorici all'interno della meccanica dei continui.

L'entità della semplificazione apportata dalla teoria delle deformazioni infinitesime nello studio della deformazione è chiaramente visibile confrontando il tensore di deformazione finita D e il tensore di deformazione infinitesima E, i quali rappresentano la deformazione di un punto nella sua interezza sintetizzando in sé i coefficienti di dilatazione, di scorrimento mutuo e di dilatazione cubica:

Dij=12(δviδpj+δvjδpi+k=13δvkδpiδvkδpj)

Eij=12(δviδpj+δvjδpi)

I coefficienti di dilatazione lineare, di scorrimento mutuo e di dilatazione cubica possono essere relazionati al tensore di cui sopra attraverso le seguenti espressioni:

ϵn=(E×n)n

γnν=2(E×ν)n nel caso le direzioni considerate siano tra loro ortogonali

(ϵn+ϵν)cosθ+γnνsinθ=2(E×ν)n qualora le direzioni formino tra loro un generico angolo θπ2

Θ=trE=ϵ11+ϵ22+ϵ33

Al contrario di quanto accade con il tensore di deformazione finita, del tensore di deformazione infinitesima è possibile dare un'interpretazione fisica dei suoi componenti: gli elementi ad indici uguali, sulla diagonale principale, rappresentano i coefficienti di dilatazione lineare per la direzione considerata, mentre gli elementi ad indici distinti rappresentano la metà degli scorrimenti mutui delle direzioni in analisi. Il tensore di deformazione infinitesima, cioè, ha la seguente espressione:

|ϵ11=ϵ1=δv1δy1ϵ12=12γ12=12(δv1δy2+δv2δy1)ϵ13=12γ13=12(δv1δy3+δv3δy1)ϵ21=12γ21=12(δv2δy1+δv1δy2)ϵ22=ϵ2=δv2δy2ϵ23=12γ23=12(δv2δy3+δv3δy2)ϵ31=12γ31=12(δv3δy1+δv1δy3)ϵ32=12γ32=12(δv3δy2+δv2δy3)ϵ33=ϵ3=δv3δy3|


Da quanto detto finora, quindi, deriva che note le dilatazioni e gli scorrimenti mutui tra tre direzioni mutuamente ortogonali è possibile dedurre il tensore E, da cui a sua volta è possibile ricavare le dilatazioni e gli scorrimenti mutui per ogni direzione o coppia di direzioni arbitrariamente fissate. In pratica questo significa che per conoscere completamente l'andamento della deformazione in un generico punto è sufficiente conoscerne le caratteristiche per tre generiche direzioni mutuamente ortogonali.

Note

  1. Il tensore identità è definito nel modo seguente: [100010001]
  2. In realtà questa scelta di generalità è pressocchè obbligata, dal momento che a parte casi particolari la norma è proprio che un vettore non mantenga la medesima direzione in seguito alla deformazione